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VOLEVO FARE LA PARRUCCHIERA



Volevo fare la parrucchiera. E’ il primo mestiere che, da piccola, mi ha affascinata. Forse principalmente perché mia mamma non mi faceva tenere i capelli lunghi e la parrucchiera da cui mi portava a tagliarli aveva invece una chioma lunghissima ed era sorridente e gentile. Mafalda si chiamava. Poi col tempo ho cambiato idea… Passando per l’infermiera e il vigile del fuoco (il draghetto Grisù era il mio cartone preferito) ho pensato di fare la scrittrice. Mi accorgevo di mirare in alto, ma da bambina non fa paura. La mia maestra delle scuole elementari diceva che scrivevo bene. È ancora vivida nella mia mente la copertina del quaderno che usai per iniziare il mio primo romanzo (avevo dieci o undici anni), raccontava di una ragazza di una famiglia semplice che veniva rapita e trasformata in una principessa. Chi di noi non lo ha desiderato almeno una volta nella vita? Diventare principessa intendo, non essere rapita. Il punto era questo. Scrivere mi consentiva di sognare.

Nello studio di mio nonno paterno c’era una macchina da scrivere, una vecchia Olivetti Lettera 32, e tutte le volte che lo andavo a trovare mi rifugiavo lassù a battere sui tasti, fino a quando il nonno me ne regalò una tutta mia, sempre Olivetti, di colore rosso, più moderna. Erano gli anni ’90 e dei computer non conoscevo ancora nemmeno l’esistenza. Un mondo che a tratti rimpiango, anche se sono consapevole che il progresso è un male necessario. E intanto amavo leggere, divoravo i libri, come faccio tuttora.

Poi c’è stato il medioevo della mia vita: il periodo buio dell’adolescenza e quello delle scuole superiori. Quest’ultimo lo cancellerei volentieri. Fatto di insicurezza, di un nutrito manipolo di stronzi compagni di classe e di un grande amore tormentato, ma questa è un’altra storia. Ero brava. Questo era il fatto. E questo era il problema. Studiavo, ero responsabile, mi piaceva imparare. Secchiona. Indiscutibilmente, ineluttabilmente e infallibilmente secchiona. Della peggior specie, di quelle che facevano copiare tutti e suggerivano pure ai muri, che tutti sfruttano e nessuno considera. Mi piacevano le materie scientifiche ma anche quelle umanistiche: lettere e filosofia. Adoravo il mio prof. di lettere, insegnava con passione e riusciva a coinvolgerci. Il punto è che prendevo voti alti pure nelle materie scientifiche. E alla fine delle superiori? Che fare?

Sullo sfondo, dall’età di quattro anni, studiavo danza, una disciplina che ancora oggi amo molto. Ero brava ma non così brava da poter fare la ballerina, di questo ero perfettamente consapevole. E poi… Collezionavo minerali e rocce da quando facevo le medie. La terra, i suoi fenomeni e le alterazioni di ciò che la costituiva mi avevano affascinato da sempre. E allora pensai alla geologia! Il mio prof. di lettere mi fece la più grande predica che io possa ricordare: “Dove vai? Vuoi andare a ficcarti nei buchi sottoterra solo perché sei piccola e secca? Che ci fai? Sprechi la tua bravura. Non va bene. Devi trovare qualcos’altro.” Sebbene credo si riferisse alla speleologia, che pure è una disciplina molto affascinante, lui voleva che scegliessi un corso universitario scientifico che potesse darmi un futuro brillante. Così, mi misi a cercare e a leggere i manuali delle Università di Ingegneria e ne trovai una che faceva al caso mio. Ingegneria per l’ambiente e il territorio. Si poteva confezionare un piano di studi che prevedesse un percorso di geomorfologia, geologia e geotecnica. Andata. Approvata perfino dal mio prof. di lettere.

Risultato: oggi sono un ingegnere geotecnico, ricercatrice e docente universitaria di Consolidamento dei terreni. Amo infinitamente il mio lavoro e la disciplina che studio ogni giorno e che insegno. All’Università e dopo la laurea ho avuto il miglior maestro che potessi desiderare e se tornassi indietro farei la stessa scelta altre mille volte.

Ma una vocina dentro di me mi diceva che mancava qualcosa, che non tutto era stato completato. E così, nel 2015, nel tempo libero, ventiquattro anni dopo, mi sono rimessa a scrivere. Ho iniziato, senza alcuna pretesa e senza nessun progetto, a scrivere un romanzo, a raccontare una storia. E poi, poi l’ho riletto decine di volte, trovandolo imperfetto, modificando ogni volta qualcosa. E infine l’ho lasciato lì. Un file word dal titolo Loving Rosamunde, in una cartella sperduta del mio pc. In questo frangente è arrivata mia figlia, la meraviglia della mia vita. Ha riempito di amore e allegria ogni momento e ogni angolo della nostra esistenza.

Oggi mia figlia ha 5 anni. Dopo aver distrattamente partecipato ad un concorso letterario, senza crederci minimamente, oggi è stato pubblicato il mio primo romanzo, “Sette vite in pausa”. Il mio romanzo di esordio? Chissà.

Volevo fare la scrittrice.

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